DEL LATTE DI SOIA (parte I)

Devo ammette che il latte vaccino non mi è mai piaciuto: da bambina era uno sforzo prenderlo caldo con il miele per calmare il mal di gola  e da grande non ho mai fatto i salti di gioia quando ho dovuto berlo assieme alla grappa per farmi passare la febbre (in quel caso dopo ero felice, certo, ma grazie alla grappa!) . Mi ha sempre dato una sensazione difficile da descrivere, come di  turgore, di un non so che di vivo, come se in quel liquido denso ci fosse dell’altro oltre a ciò che era possibile vedere, qualcosa di troppo. E comunque aveva un gusto dolciastro stucchevole, diverso quello dei fiori di camomilla che invece mi rendevano felice, che infusi nell’acqua calda, sapevano di nanne . Non mi è stato difficile quindi farne a meno, anche perché  in età adulta ne ho sempre messo solo un goccio nel caffè, giusto per non bere il caffè nero, che non mi piace nemmeno quello.
È così iniziata la ricerca del “bianco sostituto” necessario per le mie colazioni: dopo aver provato per la prima volta il latte di soia ho detto “Bleah, è amaro, mi sembra di aver masticato un cimice” ma poi ho realizzato che, assieme al caffè non si sarebbe avvertito, di nuovo, forse, non ero destinata ad apprezzare il latte in qualsiasi sua forma… Ma mia mamma me lo aveva dato il latte da piccola? Non è che per caso sono cresciuta a suon di succhi di frutta?  Col tempo e dopo vari tentativi ho capito una cosa che ora mi sembra del tutto ovvia: il latte di soia non è tutto uguale, dipende, come per tutti gli alimenti, dal marchio. E io ne ho trovato uno che mi piace davvero, è di un dolce buono, un dolce che sa di natura, non di quel dolce che non capivo, forse perché quel latte non era destinato a me, quel “qualcosa di troppo” era un ancestrale rigetto. Quel gusto così pieno, così carico voleva avvertirmi che il latte serve solo da piccoli (si, mia mamma, glie l’ho chiesto, me lo dava il latte da piccina) : nessun mammifero dopo lo svezzamento continua a bere il latte, perché la sua mamma, semplicemente, non lo produce più. Io voglio bene a tutte le mucche, ed è vero che sembrano dolci e che forse hanno un’aria quasi materna ma, nostre mamme, non lo sono proprio. Li hanno dei figli le mucche a cui quel latte spetterebbe di diritto, ma noi, mentre beviamo il cappuccino preferiamo non pensarci, per un attimo di felicità mattutina acconsentiamo ad uno sfruttamento intensivo, ad una macchina del dolore di proporzioni enormi (che se conosceste davvero vi farebbe andare di traverso tutto il latte che avete bevuto in una vita, almeno virtualmente, a me è successo). Se proprio devo bere del latte che non sia quello di mia mamma, come madre adottiva scelgo la soia, credo che questa mamma alternativa mi voglia bene davvero perché ogni mattina mi aiuta per la colazione (e non solo, mi dà una mano quasi ad ogni pasto), cuore di mamma!

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